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Son morto ch'ero bambino.

Sono quasi scura che il mio interesse e la mia voglia di saperne di più nonché di cercare di comprenderne più a fondo i meccanismi e cosa abbia scatenato l'assurdo odio razziale verso la comunità ebraica siano nati nel periodo in cui frequentavo le scuole elementari. 

Ricordo perfettamente che, durante le lezioni di musica, spesso ascoltavamo e imparavamo a memoria, per poterle poi  cantare tutti insieme, svariate canzoni.
Abbiamo così imparato, ovviamente, l'Inno di Mameli, l'Inno Nazionale Francese (poiché una, tra le tante materie studiate, era proprio il francese), La Leggenda del Piave che è una delle più celebri canzoni patriottiche italiane, e così via con un numero non indifferente di altri brani.

Ma una canzone in particolare aveva da subito catturato la mia attenzione; una canzone che, in effetti, non può non destare emozioni, domande e dubbi. 
Il titolo della canzone è "Auschwitz", pubblicata nel 1966 da Francesco Guccini il quale aveva trovato l'ispirazione per affrontare un tema così delicato, come quello dell'olocausto, dopo aver letto il saggio di Edward Russell, Il Barone di Liverpool, "Il flagello della svastica" e dal romanzo autobiografico di Vincenzo Pappalettera "Tu passerai per il camino" nel quale sono narrate le sue memorie del periodo della sua permanenza nel campo di concentramento di Mauthausen.

Ecco il testo completo della canzone: 

Son morto con altri cento
Son morto ch'ero bambino
Passato per il camino
E adesso sono nel vento
E adesso sono nel vento
Ad Auschwitz c'era la neve
Il fumo saliva lento
Nel freddo giorno d'inverno
E adesso sono nel vento
Adesso sono nel vento
Ad Auschwitz tante persone
Ma un solo grande silenzio
È strano non riesco ancora
A sorridere qui nel vento
A sorridere qui nel vento
Io chiedo come può un uomo
Uccidere un suo fratello
Eppure siamo a milioni
In polvere qui nel vento
In polvere qui nel vento
Ancora tuona il cannone
Ancora non è contento
Di sangue la belva umana
E ancora ci porta il vento
E ancora ci porta il vento
Io chiedo quando sarà
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà
E il vento si poserà
Io chiedo quando sarà
Che l'uomo potrà imparare
A vivere senza ammazzare
E il vento si poserà
E il vento si poserà
E il vento si poserà


Il testo della canzone è narrato da due voci: la prima è del protagonista, un bambino deportato nel Campo di concentramento di Auschwitz e che «è morto con altri cento, passato per un camino e adesso è nel vento».
La seconda voce, invece, è quella dell'autore che si pone alcune domande retoriche alle quali non si riesce e non si può dare una risposta.

Sono strofe che colpiscono immediatamente chi le legge e chi le ascolta; che parlano di una storia di odio, di terrore, di violenza contro chi, inerme, non poteva difendersi. 
La storia di chi ha vissuto quell'orrore, durante le calde e afose giornate estive senza acqua o di chi, esposto al freddo gelido dell'inverno, ha dovuto resistere, fino a che ha potuto, con i piedi nudi nella ghiacciata neve; un esercito silenzioso di uomini, donne e bambini condannati per crimini non commessi o per il solo "crimine" di appartenere ad un gruppo etnoreligioso, secondo i loro carnefici, sbagliato. Condannati da uomini proprio come loro, senza scrupoli e senza pietà.
I condannati e carnefici così uguali nell'aspetto, ma cosi diversi nell'animo e nelle convinzioni. 
Il fumo proveniente dai terribili locali "Krema" offuscava tutto; ovunque solo silenzio, foschia e quell'acre odore di distruzione e annientamento. Quel fumo che raccontava vite vissute, storie passate ed un futuro strappato a tanti, troppi innocenti ha continuato a salire lento e inesorabile fino a quando, finalmente, si è posato.

Questo è sicuramente un brano che ha avuto il merito di riportare l’attenzione e lo sguardo sulle atrocità commesse nei campi di sterminio nazisti ed anche per questo, Auschwitz, è diventata una canzone di culto per una intera generazione; una canzone estremamente triste e che mi è rimasta nella mente da allora; che colpisce, dritta al cuore. 

La reazione di una bambina di sei anni, ancora nella fase più magica e sognate della sua vita, non avrebbe potuto che essere piena di tristezza e di amarezza nel sentire e nel ripetere queste strofe, nel venire a conoscenza di ciò che in passato era stato commesso; impossibile non tenere a mente, da allora, quei versi e non porsi delle domande per cercare di capire da cosa tutto questo odio sia scaturito.

Per i primi anni dopo aver scoperto, ascoltato e cantato questa canzone non ho potuto fare altro che ricordarla e conservarla nella mia memoria e così, negli anni successivi, ho iniziato a documentarmi, leggere libri, guardare film e documentari. 
Durante le mie ricerche non mi sono soffermata solo sullo studio dell'ultima grande persecuzione ebraica ma ho voluto e voglio tutt'ora cercare di capire e di ripercorrere tutte le tappe e le diverse fasi dell'antisemitismo che, nel corso dei secoli. si sono susseguite.


Per ora non può che emergere un'unica e comune certezza, nonché la mia più grande convinzione: la necessità ineludibile di coltivare la memoria perché ciò che è accaduto non possa ripetersi e che la canzone Auschwitz debba ancora essere cantata.






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